OMAGGIO A LEONORA CARRINGTON

Leonora Carrington. La donna e l’artista.

 

 

 

Molte artiste furono attratte dal movimento surrealista in quanto lo percepivano come il possibile spazio in cui esprimere liberamente la propria creatività. Si trattava perlopiù di ragazze provenienti da famiglie benestanti, altolocate, in genere cattoliche e conservatrici, nelle quali vigeva uno serrato controllo sull’osservanza delle consuetudini e delle regole sociali dell’alta borghesia. Prima degli anni Trenta le donne che si avvicinavano al movimento venivano accolte solo perché legate a qualche personalità del gruppo, come successe nel caso di Leonora, divenuta la giovanissima compagna di Max Ernst.

Il Giardino degli Amanti.
Il Giardino degli Amanti.

Mi resi conto con estrema costernazione che il ruolo delle donne all’interno del movimento non differiva di molto da quello in cui le relegava la buona società borghese.( Dorotea Tannig).[1]

 

 

La Carrington fin dall’inizio manifestò una propria autonomia ed una spiccata personalità. In un primo momento sembrava essere a suo agio nel ruolo statico di segno estetico, musa ispiratrice di fotografie e dipinti; successivamente si appropriò di un ruolo diverso.

Metamorfosi
Metamorfosi

La sua metamorfosi si realizzò attraverso la decostruzione del mito surrealista della femme – enfant. Nella sua produzione artistica cominciò a giocare con la sua bellezza come fosse una maschera da distorcere o alterare fino ad assumere aspetti mostruosi, ibridi, animaleschi: la negazione della bellezza divenne la condizione necessaria per accedere ad una dimensione intellettuale e creativa altrimenti soffocate dalla corporeità femminile.

 

Da una parte condivise l’oggetto dello sguardo con il surrealismo al maschile : il corpo della donna; dall’altra parte affermò la propria autonomia creativa: lo sguardo sul corpo femminile era rivolto al suo interno al fine di  portare alla luce un Sé maggiormente autentico.

Madre Natura
Madre Natura

Scrivere, dipingere sono per me strumenti per viaggiare, anche se non sempre so dove sto andando o cosa significhi . (Leonora Carrington).[2]

 

L’incontro con Max Ernst cambiò la vita di Leonora: l’ecclettico e maturo artista rappresentò una continua fonte d’ispirazione, le consentì di scoprire e di vivere un nuovo modo di concepire la vita e l’arte in generale; svolse il ruolo di figura paterna esercitando una sorta di autorità. La dipendenza che ella sviluppò in questa relazione totalizzante, in seguito all’internamento di Ernst in campo di concentramento, la condusse al crollo psicologico, ad una forma di deriva esistenziale seguita dal ricovero in un ospedale psichiatrico.

L'Uomo Pipistrello.
L'Uomo Pipistrello.

Negli anni compresi tra il 1937 e il 1940, durante la convivenza con Ernst, nella sua produzione artistica ricorrevano dei motivi dominanti: figure femminili dall’identità biologica e sessuale ambigua in cui coesistevano tratti umani e tratti animali; il cavallo.

 Ognuno di noi possiede un’anima animale….Ognuno di noi ha il proprio bestiario interiore. (Leonora Carrington)[3]

Il cavallo ricorre ossessivamente nelle sue opere fino agli anni Quaranta quando si staccò affettivamente ed artisticamente dal suo compagno e lasciò l’Europa per ricominciare in Messico. Lo stesso animale era un’immagine frequente nei lavori di Ernst ed era associato all’idea di forza, vigore e di virilità maschile. La pittrice se ne appropriò e la rielaborò a livello onirico: il cavallo divenne metafora dell’istinto creativo e allo stesso tempo denuncia del soffocamento di libertà dell’espressione artistica. In funzione di simbolo dell’impulso creativo lo rappresentava mentre correva vitale in spazi aperti; come metafora di denuncia della limitazione dell’espressione creativa lo confinava entro mura di abitazioni borghesi, controllato dallo sguardo di figure – guida autorevoli e conservatrici e ritratto in comportamenti aggressivi come reazione alla perdita della propria autonomia.

 

 Nitrito.
Nitrito.

Una volta giunta in Messico assieme al marito, il diplomatico Leduc, Leonora si dedicò alla sperimentazione di nuove tecniche, sviluppò la capacità di dipingere con entrambe le mani, cominciò a prediligere le tempere ad acqua arricchite dall’aggiunta del rosso d’uovo al fine di aumentarne la consistenza e farle diventare confacenti alla sua pennellata rapida, ai suoi colori lucenti e brillanti. La preparazione della tempera all’uovo richiamava il lavoro nel laboratorio alchemico e in cucina. Sperimentò diversi supporti: pannelli in legno ricoperti di tessuto bianco; lavorò su soggetti autobiografici tratti dalle leggende celtiche e maya; creò mondi popolati da esseri umani, animali, piante, pianeti e oggetti inanimati che convivevano armoniosamente sotto la protezione di una divinità femminile.

 Nel 1943 divorziò da Leduc e si trasferì per qualche tempo in casa di Péret e Remedios. Le due artiste si conoscevano poco, i loro primi incontri risalivano alle riunioni parigine del movimento surrealista. In Messico iniziarono la loro intensa amicizia, basata << sugli strani poteri dell’ispirazione, sulla credenza di ambedue nel soprannaturale e nella magia; crearono tra loro un’unione spirituale ed emozionale fondata su un profondo senso di fiducia reciproca….>>[4]. Entrambe avevano vissuto il dramma dell’internamento: Remedios solo qualche anno prima era stata rilasciata dopo il suo arresto, un’esperienza che l’aveva segnata al punto da non riuscirne a parlare. Trovarono l’una nell’altra l’appoggio alla realizzazione piena della loro creatività; a partire dagli anni ’50 entrambe riuscirono ad ottenere importanti riconoscimenti e negli anni ’60 riceveranno commesse prestigiose per la realizzazione di murales in luoghi pubblici.

Durante il 1963 arrivò una commissione prestigiosa per Leonora: il governo messicano le commissionò un murale per il museo antropologico di Città del Messico. L’artista preparò l’opera attraverso un  lungo studio coadiuvato da un’intensa ricerca effettuata nei villaggi degli indiani Chiapas, gli ultimi discendenti dei Maya. I villaggi erano dislocati in zone desolate, inospitali e per raggiungerli Leonora affrontò viaggi solitari ed avventurosi a cavallo o a dorso di mulo. Documentò gli usi e costumi degli indiani con una serie di schizzi e disegni, in quanto gli indiani non le concessero di fare delle fotografie. Gli indios del Chiapas temevano i poteri della macchina fotografica: che fosse in grado di rubare l’anima. Il prodotto di tanto duro lavoro fu El Mundo magico de los Mayas: una rielaborazione degli schizzi e disegni dal vero, arricchiti dalla fantasia e dall’immaginazione dell’artista.

All'inizio degli anni Settanta Leonora si espose pubblicamente attraverso un intenso impegno per la difesa dei diritti della donna.

 

Le donne devono riappropriarsi dei propri diritti, inclusi quei poteri misteriosi che da sempre sono stati nostri e che nel corso del tempo gli uomini hanno violato, rubato o distrutto.

Leonora Carrington, 1976

 

Nel 1979 si trasferì a New York, dove dipinse ed espose i suoi lavori presso la galleria Brewster. Per molti anni si divise tra Città del Messico, New York e Chicago dove vivevano i figli Gabriel e Pablo, nati dal matrimonio con un fotografo ungherese avvenuto un anno dopo circa dal divorzio dal primo marito. Leonora Carrington si spense a Città del Messico nel 2011.

 

Testo di Irene Manente - settembre 2015 - Copyright

 

Leonora Carrington: The Woman and the Artist

 

Many female artists were attracted by the surrealist  movement because they perceived it as a possible area to freely express their own creativity. For the most part these were young women of high-ranking well-off families, generally Catholic and conservative, where there was strict insistence on observing the customs and social rules of the upper bourgeoisie. Before the 1930s, women interested in the movement were welcomed solely because they had links to some member of the group, as in the case of Leonora, who became a very young companion to Max Ernst.

It was with great consternation that I realized that the role of women within the movement was much the same as the role to which good bourgeois society relegated them. (Dorotea Tannig) [1]

 

From the outset Carrington displayed her own independence and distinct personality. Initially she appeared to be happy with her static role as aesthetic sign, a muse inspiring photographs and paintings; later, however, she would adopt a different role. Her metamorphosis was made complete through the deconstruction of the femme-enfant surrealist myth. In her artistic production she began to play with her beauty as if it were a mask to distort or alter, to the extent of taking on monstrous, hybrid, animal features – the denial of beauty became a condition necessary to access an intellectual and creative dimension otherwise stifled by female corporeality. On the one hand she shared that object of male attention, the female body, while on the other affirmed her own creative independence  –  attention to the female body was turned inwards in order to uncover a more authentic Self.

For me writing and painting are tools for travel even if I don’t always know where I’m going or what it means. (Leonora Carrington)[2]

Meeting Max Ernst changed Leonora’s life – the mature, eclectic artist represented a continuous source of inspiration and allowed her to discover and experience a new way of conceiving life and art in general. He played his role as a father figure by exercising a form of authority. Following Ernst’s internment in a concentration camp, the dependency Leonora had developed in that totally absorbing relationship led to her psychological collapse and a kind of existential drift after which she was admitted to a psychiatric hospital. In the years between 1937 and 1940, during her time living with Ernst, certain dominant motifs recur in her artistic production: firstly female figures with ambivalent biological and sexual identity where human and animal traits coexist, and secondly the horse.

 

Each of us possesses an animal soul… Each of us has their own inner bestiary. (Leonora Carrington)[3]

The horse recurs obsessively in her works before the 1940s, when she detached herself emotionally and artistically from her partner and left Europe to make a fresh start in Mexico. The same animal was a frequent image in the works of Ernst and was associated with the idea of strength, vigor and male virility. Eleonora made this image her own and re-worked it in dream; the horse became both a metaphor for the creative instinct and a condemnation of the stifling of the freedom of artistic expression. She represented the horse in terms of a symbol of creative impulse by allowing it to run free in open spaces while as a metaphor of condemnation of the limiting of creative expression,  she confined it within the walls of bourgeois dwellings, kept in check  by the lead of authoritative, conservative figures, portraying it with aggressive behavior as a reaction to the loss of its own freedom.

Having reaches Mexico in the company of Leduc, Leonora dedicated herself to experimenting with new techniques, developing the ability to paint with both hands. She began to favour water-based distempers enriched by adding egg yolk to improve the consistency and to make them more suited to her rapid brush strokes and bright, shining colours. The preparation of egg distemper hearkened back to the alchemist’s laboratory and the kitchen. She experimented with various supports such as wooden panels covered in white fabric. She worked on autobiographical subjects drawing on Celtic and Maya legends. She created worlds populated by human beings, animals, plants, planets and inanimate objects, all living harmoniously under the protection of a female divinity.

In 1943 she divorced Leduc and moved for a time to the house of Péret and Remedios. The two artists did not know each other well, with their first meetings going back to the Paris meetings of the Surrealist movement. In Mexico they began an intense friendship based on “the strange powers of inspiration and on their common belief in magic and the supernatural; they built a spiritual and emotional union founded on a deep sense of mutual trust.”[4] Both had been through the drama of internment; Remedios only a few years previously had been released after arrest, an experience that had scarred her to the extent that she could not speak of it. Both found in the other a support for expressing their creativity and from the 1950s both succeeded in receiving important recognition. In the 1960s they received prestigious commissions to complete murals in public places.

In 1963 a Leonora received an important commission from the Mexican government to create a mural for the anthropological museum of Mexico City. The artist laid the ground for the work with extended study supported by intense research carried in the villages of the Chiapas Indios, the last descendents of the Maya. The   villages were set in isolated, inhospitable areas and to reach them Eleonora had to face lonely and adventurous journeys by horse or on the back of a mule. She documented the habits and customs of the Indios with a series of sketches and drawings as the Indians would not allow her to take photographs. The Ciapas Indios feared the power of the camera was able to steal their soul. The result of all this hard work was El Mundo magico de los Mayas, a revision of the original sketches and drawings, enriched by the creativity and imagination of the artist.

 

Women need to win back their rights, including those mysterious powers which forever have been ours and which in the course of time men have violated, stolen or destroyed.

Leonora Carrington, 1976

 

 



[1]  Interview with Alan Jouffroy, in Dorotea Tanning, Parigi, Centre National d’Art Contemporain, 1974.

2Tiziana Agnati, Leonora Carrington. Il surrealismo al femminile (Female Surrealism), Selene Edizioni,Milan 1997.

3 Interview with Leonora Carrington, in Marina Warner, The House of Fear: Notes from Down Below, London, Virago, 1989, p.1.

[4]  Diego Sileo, Remedios Varo. La magia dello sguardo (The Magic of the Look) , Selene Edizioni, Milan, 2007.